PIL: crolla tutto

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La pandemia di coronavirus scatena la più grande recessione della storia europea e il PIL crolla.

Ma di quanto crolla il PIL?

Le previsioni di primavera della Commissione sono un vero e proprio bollettino di guerra, con cifre e percentuali mai registrate prima nell’economia della zona euro e del Vecchio Continente.

Crolla il PIL italiano

Il Pil dell’Italia crollerà del 9,5% quest’anno, per poi rimbalzare di 6,5 punti l’anno prossimo.

Peggio di noi, crolla solo il PIL della Grecia.

Ma la pandemia non risparmia nessuna delle grandi economie europee: nel 2020 calerà il prodotto lordo di Germania (-6,5%), Francia, (-8,2%) Spagna (-9,4%). Fuori dalla zona euro è la Croazia a registrare la caduta del Pil più pesante con un -9,1%.

La Polonia nell’Unione Europea, Lussemburgo e Austria nella zona euro sono invece Paesi il cui Pil viene meno colpito dai danni economici causati dall’esplosione del Covid-19.

Complessivamente, rileva la Commissione, il Pil della zona euro subirà una contrazione del 7,7% nel 2020, prima di tornare a crescere del 6,3% nel 2021.

Anche le conseguenze socio-economico saranno molto gravi.

Pesantissime saranno le conseguenze anche sui conti pubblici dei paesi europei.

I deficit e i debiti degli Stati membri della zona euro subiranno un’impennata nel 2020 a causa della crisi del coronavirus e delle misure fiscali adottate per fronteggiare l’impatto economico.

Crolla la produzione industriale e porta dietro il PIL

Il PIL dipende soprattutto dalla produzione, così se crolla non può che crollare anche il PIL.

A marzo Germania e Francia hanno visto crollare la produzione, per Berlino peggior calo dal 1991.

La produzione industriale tedesca è crollata del 9,2% a marzo su base mensile, come mai dal 1991.

Stessa situazione anche in Francia, dove la produzione affonda del 16,2% mensile.

Il settore delle costruzioni è stato un’eccezione in questo quadro cupo, visto che la sua produzione è aumentata dell’1,8%.

Questi dati mostrano come un’economia aperta come la Germania sia stata colpita duramente dalle misure di preclusione sia in patria sia all’estero.

Le esportazioni in Asia, che hanno contribuito a mitigare gli effetti dell’ultima grande crisi del 2009, ora sono assenti.

Inoltre, l’industria tedesca già scossa dallo scandalo diesel, dai problemi legati alle norme sulle emissioni di CO2 e dalle tensioni commerciali internazionali, rischia di non navigare in acque tranquille ancora per parecchio tempo.

Ma quali sono i 4 settori più colpiti dalla pandemia?

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Non crolla ma sale il Misery Index dei mercati finanziari

Il Misery Index sale a 20,5 e torna ai livelli di ottobre 2017.

Lo rileva Confcommercio, spiegando che l’aumento ​riflette in misura esclusiva le difficoltà del mondo del lavoro ed il calcolo potrebbe essere sottostimato in considerazione del blocco dei licenziamenti.

A marzo il tasso di disoccupazione ufficiale si è attestato all’8,4% in diminuzione di nove decimi di punto rispetto a febbraio.

Gran parte della riduzione è da imputarsi alle difficoltà di effettuare, in questo momento, una ricerca di lavoro, situazione che ha portato molti disoccupati nell’area dell’inattività e più precisamente tra gli scoraggiati.

Il blocco delle attività dai primi giorni di marzo ha determinato un aumento di persone che vivono una situazione di forzata riduzione dell’orario di lavoro, portando il tasso di disoccupazione corretto al 12,1%, in aumento di oltre 1 punto su febbraio.

Qui trovi la nostra analisi macroeconomica.

PIL in discesa, ma cosa crolla di più

Non solo mercati finanziari, ma anche reali, cosa crolla però più di tutto?

Il via libera all’asporto per bar e ristoranti rappresenta “un piccolo segnale”, ma certo non si può parlare di ripartenza per il settore della ristorazione.

L’ok al take away è infatti una piccola boccata d’ossigeno per un settore tra i più colpiti dalla crisi e letteralmente in ginocchio, dove si stimano perdite per 34 miliardi di euro nel 2020, e con tante delle 300.000 imprese che rischiano di non riaprire.

Il riferimento è principalmente a gelaterie e pizzerie che hanno colto a pieno l’opportunità dell’asporto, perché ora le persone possono andare a prendersi di persona gelati e pizze dopo due mesi di astinenza.

Per le gelaterie parliamo di una ripartenza al 100% e per le pizzerie al 60%, ma per i bar e le pasticcerie, ad esempio, il segno di vitalità è molto più debole.

Chi riapre i bar?

“Chi ha la conduzione familiare perché per ora non c’è assolutamente quell’economia che consente di richiamare al lavoro i dipendenti o gli addetti alla cucina.”

I caffè storici e la ristorazione nel suo complesso chiaramente non possono accendere i motori senza le brigate di cucina e con il rischio di vendere solo 5 o 6 pasti.

Per il vicepresidente di Fipe-Confcommercio l’asporto ha dato il segnale che qualcosa si sta muovendo, ma la strada è ancora lunga.

Senza il turismo internazionale, con la minore capacità di spesa degli italiani colpiti dalla crisi e dalla psicosi Covid, argomenta Cursano, “moriremo”.

Se non si andrà a rinegoziare gli affitti con il governo adeguandoli alla nuova situazione economica sarà difficile sopravvivere.

Sempre secondo Cursano se oggi un ristoratore incassa il 30%, potrà pagare solo  il 30% di affitto, ed il 30% di fiscalità, ma non potrà pagare il 100%.

“I costi d’impresa dovrebbero essere legati alla gradualità della ripartenza. Se così non è, al di là delle date e dei numeri, non andremo da nessuna parte” (cit. Cursano)

E secondo voi entro quanto ci riprenderemo?

Davide Cassaghi