Il trading è un’attività redditizia che, purtroppo, non sfugge alla tassazione. Le plusvalenze e i dividendi generati dai tuoi investimenti in un conto titoli sono tassati ogni anno.
Per ridurre gli importi, puoi effettuare i tuoi investimenti all’interno di un PRA, che però non è privo di limitazioni.
Come si pagano le tasse con il trading?
La maggior parte dei trader effettua i propri investimenti all’interno di un normale conto di trading. Questo tipo di conto, infatti, dà accesso agli investimenti finanziari più svariati: azioni, derivati, obbligazioni, ETF, fondi di investimento, ecc.
Alcune piattaforme di trading offrono solo conti CFD o derivati. Il quadro fiscale è, tuttavia, identico.
I guadagni che realizzi sulle attività finanziarie sono tassati ogni anno, indipendentemente dal fatto che tu scelga o meno di reinvestirli nello stesso conto titoli.
La domanda sorge spontanea: se non effettuo un prelievo devo pagare lo stesso le tasse? Un noto adagio tra gli investitori risponde in parte a questa domanda: finché non vendi, non guadagni né perdi.
In altre parole, è la vendita di un titolo che fa scattare la tassazione e non il ritiro del saldo contante. Allo stesso modo, i dividendi devono essere sistematicamente inclusi nei guadagni dell’anno. Per impostazione predefinita, i guadagni derivanti dalle tue operazioni di trading sono soggetti a dichiarazione dei redditi.
Tale regime fiscale si applica a tutte le tipologie di plusvalenze (plusvalenze, dividendi, interessi) e indipendentemente dagli investimenti in borsa (azioni, obbligazioni, derivati, etc).
Per quanto riguarda le tue plusvalenze, saranno tassate dopo aver compensato eventuali perdite che potresti aver subito durante l’anno.
In generale, la tassazione dell’attività di trading è regolamentata da 3 norme:
- TUIR (testo unico sui redditi)
- D. Lgs. 66/2014
- Nota 71/E/2016, dell’Agenzia delle Entrate.
In particolare, si parla di un 26% da versare sulle plusvalenze.
Su un’opzione irrevocabile, puoi scegliere di tassare i tuoi guadagni di trading alla scala progressiva dell’imposta sul reddito.
Questa opzione è raramente vantaggiosa, fatta eccezione per i contribuenti il cui scaglione marginale di imposta è pari a zero o all’11%. In questo caso, però, si beneficia di un’indennità sui dividendi e, in alcuni casi, sulle plusvalenze. È, inoltre, possibile detrarre i costi relativi alla tenuta del conto titoli o ai premi assicurativi.
Trading e tasse: come dichiarare i tuoi guadagni
La tabella di seguito riassume i punti principali che riguardano la tassazione del trading, in Italia:
Fonte: https://www.e-conomy.it/wp-content/uploads/infographics/Tasse_sul_trading.jpg
Se hai realizzato plusvalenze nell’ambito di un conto titoli, devi dichiararle nel modello PF. Dovrai, quindi, tenere conto delle plusvalenze dei titoli ceduti nell’anno e dei dividendi percepiti.
Se hai un conto italiano, sarà in genere il broker online a trasmettere le informazioni alle autorità fiscali. Dovrai, quindi, solo verificare che siano coerenti con le tue operazioni.
Se hai un conto all’estero (ad esempio Degiro, eToro o anche XTB), è probabile che il tuo broker non invii le informazioni al fisco. Ma non è molto più complicato: basta compilare l’apposita casella sulla tua dichiarazione dei redditi, indicando i tuoi guadagni. Dovrai, dunque, indicare:
- plusvalenze realizzate nel corso dell’anno fiscale (e non tutte le plusvalenze non realizzate)
- minusvalenze realizzate nell’esercizio: sarai tassato sulla differenza.
L’agenzia delle entrale esegue controlli periodici sulle attività di trading, quindi nn giovare con i fuoco perché potresti scottarti.
Nell’immagine qui sotto, il riquadro della dichiarazione dei redditi da compilare:
Fonte: https://www.studioallievi.com/wp-content/uploads/2022/07/TRADING-DICHIARAZIONE-DEI-REDDITI.webp
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Tasse e trading: come ridurle
La tabella di seguito mostra che l’Italia si piazza in una posizione mediana, in quanto a tassazione del trading, rispetto ai Paesi che aderiscono alla Comunità Europea:
Fonte: https://www.finaria.it/wp-content/webp-express/webp-images/doc-root/wp-content/uploads/2020/09/tasse-trading-europa.jpg.webp
Purtroppo le soluzioni per ridurre la tassazione della propria attività di trading non sono molto numerose.
La prima consiste nel mantenere i tuoi titoli da un anno all’altro, per ritardare la tassazione delle tue plusvalenze. Se, infatti, vendi un’azione e generi una plusvalenza, questa sarà tassata a fine anno.
Al contrario, una plusvalenza latente (quella che puoi sperare di realizzare) non è tassata. I dividendi, invece, saranno sempre soggetti a tassazione nell’esercizio in cui sono percepiti.
Un’altra strada che vale la pena esplorare per ottimizzare la tua tassazione è quella di svolgere le tue operazioni di trading all’interno di un PRA e non in un conto titoli. Il PRA gode, infatti, di un’esenzione fiscale.
Come funziona il PRA
Il PRA è un conto titoli che consente solo di acquisire azioni di società italiane ed europee. Fermiamoci un attimo su questo punto perché, per molti trader, è il difetto maggiore di questo tipo di soluzione.
Infatti, con il PRA non si possono acquistare azioni o materie prime americane. Inoltre, non è possibile investire con leva finanziaria, né con derivati né tramite DRS.
L’unico modo per diversificare il tuo portafoglio è, quindi, quello di utilizzare ETF azionari internazionali idonei.
Il PRA, in pratica, non si adatta quindi a tutti gli stili di trader. Il day trading e lo scalping, che di solito vengono eseguiti con leva , non sono compatibili in nessun modo.
Al contrario, se sei un fan dello stock picking, ti consigliamo vivamente il PRA, almeno per le tue azioni europee. Se sei più un trader macro globale e le tue strategie si basano sulle principali tendenze economiche a lungo termine, puoi fare molto bene con gli ETF idonei al PRA.
Esistono, inoltre, due tipi di PRA:
- classico: limitato a € 150.000
- PMI: fino a 225.000 euro e limitato alle PMI e agli ETI.
È possibile combinare un PRA classico e un PRA-PMI. Ma, in questo caso, la combinazione dei due non deve superare i 225.000 euro.
Qual è la tassazione applicabile al PRA?
Il primo vantaggio del PRA sta nel fatto che, finché non effettui un prelievo, non paghi tasse o contributi previdenziali sulle plusvalenze realizzate nel tuo piano.
Se, quindi, mantieni il tuo PRA per almeno 5 anni, i guadagni che hai realizzato non saranno tassati sui tuoi prelievi. Rimani, invece, assoggettati ai contributi previdenziali.
Effettuare un prelievo durante i primi 5 anni di detenzione del PRA comporta la chiusura del piano, tranne se il recesso è legato alla creazione o al rilevamento di un’impresa, invalidità, licenziamento o pensionamento o ritiro di quote di società in liquidazione.



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Partita IVA e trading: come funziona?
Se sei un trader abituale, le tue operazioni possono essere considerate un’attività professionale e, quindi, la tassazione che si applica è diversa. In questo caso, i tuoi guadagni non sono soggetti a flat tax ma sono considerate profitti non commerciali e saranno tassati come tali, il che è molto meno vantaggioso.
Ma quando l’Agenzia delle Entrate ti considera un trader professionista?
La legge considera come parte di un’attività commerciale le operazioni che sono svolte in condizioni analoghe a quelle che caratterizzano l’attività svolta da una persona impegnata a titolo professionale in questo tipo di operazioni.
Come puoi vedere, la legge è relativamente vaga. Esiste, però, una serie di elementi che possono indurre le autorità fiscali a considerarti un trader professionista:
- hai una pratica abituale e regolare (ad esempio, ordini tutti i giorni)
- investi in mercati e prodotti diversi e, in particolare, utilizzi strumenti finanziari derivati
- disponi di sistemi di trading simili a quelle dei professionisti (inclusi, ad esempio, abbonamenti ai dati di mercato)
- il reddito derivante dal tuo trading è molto più alto di qualsiasi altro reddito.
Inoltre, se sei o sei stato un professionista finanziario, questo può giocare contro di te. Se hai spuntato tutte queste caselle, ti consigliamo di chiedere al tuo commercialista di valutare la tua posizione.
Quale tassazione per i trader professionisti?
Se rientri nella categoria dei trader professionisti, dovrai aprire una partita Iva o creare una società con la quale svolgerai la tua attività di trading. Gli utili della società saranno quindi tassati con un’aliquota che dipende dalla forma giuridica scelta.
Quando pensare a un conto di trading professionale?
Pochi mesi o anni dopo aver intrapreso la propria attività, il trader si trova inevitabilmente di fronte a due scenari:
- il trading gli fornisce un reddito aggiuntivo, vale a dire sempre inferiore a quello che gli porta la sua attività professionale.
- il trading è diventato la sua principale fonte di reddito.
Nel primo caso, la questione dello status, in realtà, non si pone. Il trading rimane, fiscalmente, un’attività secondaria, i cui utili netti devono comunque essere dichiarati in buona e dovuta forma (relativi interessi di mora).
Nel secondo caso, le cose cambiano perché la giurisprudenza porta l’Agenzia delle Entrate a considerarti un trader professionista. Senza addentrarci nelle considerazioni legali di frequenza, entità del reddito e tecnicismi, diciamo che ti verrà applicata una tassazione più alta.
Sarà necessario, infatti, aprire una partita IVA con i seguenti possibili regimi:
- partita Iva individuale
- Ditta individuale
- Società a responsabilità limitata
Fai attenzione, però, agli svantaggi e ai rischi di un conto di trading aziendale. Qualora questa strada diventasse obbligatoria, dovrai sopportare:
- meno tutele e garanzie. Ciò è particolarmente evidente quando si fa trading di CFD/Forex. Con un conto personale, infatti, ottieni la protezione del saldo negativo. In nessun momento le perdite subite su una o più operazioni possono superare il saldo del conto. Cosa che ti impedisce di indebitarti eccessivamente. Facendo trading di CFD come professionista, la protezione non è più applicabile.
- prezzi più alti, in particolare sui costi di collegamento alle borse. Mentre un privato pagherà da 1 a 2 euro al mese per connettersi al Nasdaq, il professionista dovrà versare importi fino a 10 euro al mese.
Di contro, potrà beneficiare di commissioni di trading ridotte, a causa di volumi teoricamente superiori rispetto a quelli di un trader privato.
- Tassazione più alta. Mentre per i privati l’aliquota da versare è del 26%, con un’azienda da gestire, il carico fiscale potrebbe essere superiore tra imposta sulle società, imposta sui dividendi annuali, oneri sociali e altre royalties.
Serve aprire la partita Iva per fare trading?
Sì, devi aprire una partita Iva quando il trading diventa la tua attività principale:
- con il tuo capitale
- con capitale affidato da terzi (clienti dei servizi di gestione patrimoniale).
Prima di aprire la partita Iva, comunque, è necessario studiare. Metaskill.com propone un master ad hoc per diventare trader professionisti. Contattaci per ulteriori informazioni.
Tasse sul trading: dove si pagano meno?
Tutti coloro che guadagnano con la Borsa, e a maggior ragione i trader professionisti, aspirano a vivere dove la tassazione è inferiore, rispetto all’Italia. Ebbene, esistono 3 Paesi, nel mondo, in cui il trading non è tassato.
Mauritius
Situata ad est del Madagascar, è una destinazione molto ambita dai trader perché offre una tassazione molto allettante: 0% su plusvalenze, titoli e dividendi. L’investitore che desideri guadagnarsi da vivere con il trading, quindi, può trarre pieno vantaggio dal suo reddito di Borsa senza essere tassato.
Allo stesso tempo, l’imposta sul reddito ha un’unica scala (15%) che è molto inferiore a quella applicata in Italia. Per poter beneficiare di questo regime fiscale, però, è obbligatorio scegliere tra diverse formule e acquisire la residenza nelle Mauritius, anche semplicemente investendo in immobili per un valore almeno pari a 150.000 dollari e risiedendo sull’isola per più di 6 mesi all’anno.
In termini di potere d’acquisto, l Mauritius detengo un potere di acquisto inferiore del 37% rispetto all’Italia: il reddito mensile lordo medio dei è, infatti, di circa 1.000 dollari.
Dubai
Anche Dubai è una meta interessante per i trader che riescono a vivere dei propri investimenti. Non ha, infatti, imposte sul reddito così come sulle plusvalenze e sui dividendi e offre ai suoi residenti un sistema fiscale vantaggiosi.
Per ottenere il visto e, quindi, la residenza fiscale a Dubai hai due possibilità:
- investire in immobili almeno 1 milione di Dirham (circa 230.000 euro).
- creare un’azienda in una zona franca (puoi detenere l’azienda al 100% senza passare attraverso uno sponsor). La durata del visto è di 3 anni rinnovabile.
Naturalmente, dovrai anche risiedere più di 183 giorni negli Emirati Arabi Uniti per mantenere questo status.
Per quanto riguarda le spese, il costo della vita è leggermente inferiore a quello italiano (-19%): lo stipendio lordo medio di è di 2.761 euro.
Monaco
Per i trader che hanno un capitale consistente, trasferirsi a Monaco può costituire un buon compromesso. Il principato, che conta poco meno di 40.000 abitanti, offre ai suoi residenti l’esenzione fiscale su redditi, plusvalenze e dividendi.
Tuttavia, per essere ammissibili, è necessario ottenere l’autorizzazione a risiedere a Monaco. Per questo, devi avere un alloggio in cui vivere (come proprietario o affittuario) e disporre di risorse finanziarie sufficienti. Il tuo reddito da trading deve essere ritenuto soddisfacente (almeno 500.000 euro depositato su un conto bancario monegasco, secondo l’Associazione monegasca per le attività finanziarie).
Sebbene il ritratto sembri idilliaco, sappi che affittare un semplice monolocale ti costerà almeno 2.500 euro. Dunque, prezzi e tenore di vita ben superiori rispetto all’Italia. Lo stipendio medio nel princi’pato, di contro, si aggira intorno ai 4.800 euro.



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Tasse e Trading: cosa accade nel resto d’Europa
Le aliquote fiscali sui profitti ottenuti attraverso il trading sono diverse in tutto il mondo. Gli Stati Uniti e il Regno Unito, per esempio, hanno il loro sistema di tassazione del reddito sugli utili di borsa, come i dividendi e le plusvalenze.
Se si acquistano azioni di una società a un prezzo basso e si ottiene un profitto dalla sua vendita, verrà applicata un’aliquota fiscale su tale profitto. Va detto che non basta aprire un conto corrente all’estero: qualsiasi Paese, infatti, applica la tassazione fiscale solo ai residenti.
Proponiamo qui alcuni casi emblematici, nel panel dei Paesi europei.
Belgio
La tassazione è simile a quella italiana. Gli investitori hanno due soluzioni:
- gestire il patrimonio di famiglia: in questo caso, non fanno trading ma si limitano a realizzare una rendita dal risparmio a a mantenere un’eredità e non vengono tassati
- fare trading, accumulando molte operazioni in serie e speculando.
Viene applicata un’aliquota del 33%, soprattutto ai trader Forex, che è considerato pure speculazione.
Svizzera
La Svizzera non tassa i trader privati sui loro scambi, ma solo imprese e professionisti. È richiesta, tuttavia, la residenza fiscale sul territorio elvetico. Gli italiani, quindi, seppure aprono uh conto in Svizzera, dovranno pagare le tasse al Fisco italiano.
Danimarca
Nel caso della Danimarca, dovresti pagare il 27% di tasse se la tua plusvalenza attraverso la compravendita di azioni è di circa 57.200 corone danesi. Questa tassa viene riscossa sul reddito iniziale delle azioni che hai venduto.
Se la tua plusvalenza è superiore a questa soglia, devi pagare una tassa pesante: il 42% sul tuo reddito da trading, che include l’incremento ricevuto dalla società in cui detieni azioni e il profitto ottenuto dalla vendita delle azioni.
L’importo è il doppio di 57.200 corone danesi, se sei sposato.
Polonia
In Polonia, le aliquote fiscali si basano sullo stato di residenza. Se non sei residente, dovresti pagare una percentuale limitata di tasse. Per i residenti permanenti o locali, il loro reddito mondiale totale è tassabile. In altre parole, significa che sono soggetti a responsabilità fiscale illimitata.
Spagna
In Spagna, i dividendi e gli altri redditi acquisiti attraverso la vendita di azioni di società sono inclusi nel reddito da risparmio PIT e tassati con un’aliquota del 19% (se la dichiarazione annuale è di 6.000 euro).
L’aumento da 6.000 euro a 50.000 euro vedrà un aumento delle aliquote fiscali fino al 21%: quindi le tasse arriveranno al 23% se il reddito passa da 50.000 a 200.000 euro. Qualsiasi reddito superiore a 200.000 sarà tassato al 26%.
Per le persone non residenti in Spagna, l’aliquota fiscale è fissa al 19%.
Germania
La politica applicata dalla Germania al trading è considerata una delle più permissive, nell’ambito dei Paesi dell’area euro. Il fisco tedesco, infatti, applica un’aliquota unica del 15% a tutti i prodotti del trading.
Lussemburgo
Se il Lussemburgo esercita una forte attrattiva per tutti gli europei, sul fronte del trading la tassazione non è poi così allettante, sia per gli stranieri sia per i residenti: i vantaggi fiscali, infatti, sono applicati soltanto ai risparmi familiari liquidi o investiti in immobili.
Trading: cosa accade se non si dichiarano i redditi
L’Agenzia delle Entrate può eseguire verifiche random su tutti i contribuenti che risiedono nel territorio italiano. In caso ravvisasse irregolarità o omissioni in materia di dichiarazione dei redditi, la multa parte da 250 euro e si aggiunge a eventuali interessi di mora. Va detto, però, che evitare di pagare le tasse relative al trading è quasi impossibile.
Tutti i broker online che operano sul territorio nazionale, infatti, hanno una linea aperta con l’Agenzia delle Entrate e sono tenuti a comunicare direttamente le generalità dei propri clienti.
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